2011 - Buffalo Bill a Cremona - ©2024 Roberto Caccialanza | Ricerca, fotografia, pubblicazioni, mostre

Vai ai contenuti
CREMONA AMARCORD
BUFFALO BILL A CREMONA

Buffalo Bill a Cremona
con il Wild West Show (18 aprile 1906)


Articolo pubblicato su 'Cremona Produce' del n. 4/2011 (settembre-ottobre).

La Cremona di inizio Novecento fu straordinariamente movimentata dalla visita di una figura leggendaria che è rimasta tale fino ai giorni nostri e che non ha bisogno di presentazioni: Buffalo Bill. Agli inizi di aprile 1906 in breve si diffuse la notizia che il leggendario colonnello William Frederick Cody (1846-1917) sarebbe giunto in città per offrire ai cremonesi il suo grandioso show. Il suo secondo tour europeo, dopo quello del 1890, toccò numerosissime città e ovunque fu accolto e osannato alla stregua di una moderna star di Hollywood, o forse più…
Il primo lancio sulla stampa cittadina è del 1° aprile: “Roma in questi giorni s’è poco occupata di Sonnino e dell’opposizione, della perequazione e del Mezzogiorno. La città eterna non ha avuto pensieri e preoccupazioni che per… Buffalo Bill”. Il fortunato imprenditore americano riscuoteva all’incirca 50 mila Lire al giorno grazie ai 10-12 mila spettatori che “a furia di gomiti” potevano assistere al Wild West Show; ma altrettante dovevano rimanere fuori dal tendone e tornare allo spettacolo successivo. Dopo avere offerto numerose rappresentazioni in giro per l’Italia, sarebbe giunto a Mantova, poi a Cremona: gli spettatori di entrambe le città avrebbero assistito al medesimo spettacolo offerto ai parigini, ai londinesi, a Berlino, a Firenze, Parma, Bologna, Verona, Modena, Roma e perfino a Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele III, consorte e principessa Jolanda, che vollero assistervi ben due volte. Tutti i negozi della città e della provincia furono inondati dalle accattivanti locandine del suo spettacolo e la trepidazione dei cremonesi salì alle stelle quando giunse in città il Secretary di Buffalo Bill, il maggiore John M. Burke: egli anticipava sempre la gigantesca carovana del Buffalo Bill’s Wild West Show con il compito di predisporre ogni dettaglio con le Autorità locali. Burke, “un magnifico tipo di americano solido e vegeto, basette candide, corporatura fortissima”, fu intervistato da ‘La Provincia’: il maggiore spiegò che il suo rapporto con il colonnello Cody risaliva a più di quarant’anni addietro, aveva combattuto al suo fianco sui campi di battaglia nella guerra di secessione -una cicatrice sulla guancia destra ne era testimonianza- e poi ne era divenuto il braccio destro per quanto riguardava l’organizzazione degli spettacoli. “Buffalo con tutta la sua truppa -disse Burke- scenderà a Cremona mercoledì 18. Lo sbarco si effettuerà dalla Stazione a piazza d’armi”: le operazioni di scarico, la sfilata e l’allestimento del campo sarebbero stati solo un’anticipazione di ciò che attendeva i cremonesi durante lo show nella grande arena, capace di ben 12 mila posti a sedere coperti. Burke spiegò che era stato stipulato un contratto con le ferrovie grazie al quale la carovana di 4 treni speciali (59 vagoni) avrebbe potuto percorrere qualsiasi tratta in Italia in qualunque momento: i convogli ospitavano 500 cavalli e gli 800 uomini della Compagnia di cui facevano parte “dodici razze umane, dai Negri alle Pellirosse, dai Cosacchi ai Giapponesi, dai Cow-boys ai gauchos delle Pampe”, dal 6° reggimento cavalleria americana alla cavalleria inglese, dall’artiglieria americana ai Beduini, dagli Zuavi ai Cinesi. “Una vera fantasmagoria di popoli e di costumi”.
Il primo treno giunse alle 3 di mattina del 18 aprile, seguito a breve distanza dai rimanenti tre: malgrado l’ora la Stazione era assediata da curiosi che assistevano alle operazioni da dietro le cancellate dello scalo, dove era stato predisposto un servizio di carabinieri. Alle 5:45 un primo drappello di uomini si diresse verso l’Ippodromo di piazza d’Armi e in poco tempo delimitò le aree del campo con paline di diversi colori; nel frattempo alla Stazione si iniziò lo scarico del materiale di accampamento e i veterinari procedevano alla visita dei cavalli; poi dai vagoni scesero carri romani, slitte indiane, i due cannoni che risalivano alle guerre civili del 1861 ed altro: ogni azione veniva eseguita con grande rapidità ed efficienza, senza rumore se non quello delle ruote dei pesanti carri che rotolavano sul terreno, senza che gli addetti scambiassero una parola fra di loro tanto erano ormai avvezzi a quelle operazioni, solo disciplina e armonia. Sbarcarono i cavalli da sella e il personale, intirizzito dal freddo e con gli occhi pesanti dal sonno. Alle 6, terminate le operazioni di scarico, si formò un lungo corteo di carri trainati da quattro, sei e otto cavalli normanni (per un totale di 130), tutti dal mantello uguale, guidati da cocchieri senza che si servissero di frusta e senza grida. Entrati dalla barriera di Porta Milano si diressero all’Ippodromo presso la Piazza d’Armi. Solo venti minuti più tardi gli addetti iniziarono ad allestire il tendone principale e i padiglioni per il refettorio, la mascalcia, l’officina, le scuderie, la macelleria, i dormitori, la cucina: nel carro-tenda lavoravano 8 cuochi, 3 beccai e 8 macellai; una latta di petrolio alimentava la caldaia a vapore e i fornelli per riscaldare quotidianamente 320 litri di latte e mille di acqua per the e caffè. il vapore serviva per mantenere sempre caldi i piatti poggiati sulla tavola di servizio del refettorio. Il consumo quotidiano di cibo ammontava a 800 chilogrammi di carne, 1000 di pane, 400 di patate, 60 di burro, 150 di zucchero, 700 di legumi. La predisposizione della tendopoli richiedeva l’utilizzo di “1300 pioli, 4000 alberi, 30 mila metri di corde, 20 mila metri quadrati di tende e circa 10.000 pezzi di legno e di ferro di ogni genere”. L’accampamento viveva come una città: c’era chi si radeva la barba, chi cuciva una sella, chi riparava i sandali, chi leggeva i giornali americani del “gabinetto Vieusseux dee cowboys” posto al centro della tenda dei cavalli normanni; poche le donne, solo una decina. I Pellirosse e le loro tepee allineate, piccole, stranissime, dipinte a geroglifici, suscitavano la maggiore attenzione da parte dei cremonesi, “per i lunghi capelli neri ornati di penne che incorniciano quei visi dai lineamenti pronunciati, che portano ancora le traccie del belletto e dei colori che il giorno precedente avevano usato per la loro toeletta. Ma i Pelli Rosse, freddolosi e seri, infine si rinchiudono nelle loro tende come seccati di tanta curiosità”.
Alle ore 8 tutto il personale convogliò alla mensa per la colazione servita su lunghe file di tavole elegantemente apparecchiate: entravano ad uno ad uno consegnando una marca e, una volta preso posto, quaranta stewards erano pronti a servirli. Alle 9 la grandiosa tenda che avrebbe ospitato il pubblico stava prendendo forma: aveva pianta rettangolare con al centro la pista su cui si sarebbe svolto lo spettacolo; una galleria coperta la circondava su tre lati; vi erano disposte interminabili file di sedie e panche policrome; il quarto lato, chiuso da tende dipinte, accoglieva gli attendamenti destinati ad abitazione; in quella di Buffalo Bill erano raccolti “parecchi fenomeni dei soliti che si vedono nei Musei e nei baracconi da fiera”. Sopra le tende sventolavano bandiere di tutte le nazionalità.
Alle 13:30 tutto era pronto e iniziò ad arrivare il pubblico per il primo dei due spettacoli previsti (14:30 e 20): a piedi, in omnibus, in carrozza, in treno, non solo dalla città ma anche dalla provincia e dal piacentino. Prezzo d’ingresso: Lire 2 per i posti a sedere, 4 quelli numerati, 5 i riservati e 8 i palchi (a persona). Un’ora più tardi le gradinate erano gremite e, puntualissima, iniziò la rappresentazione: vennero suonati alcuni inni di guerra delle popolazioni americane del Nord, poi allo squillare di una marcia eseguita dalla banda musicale dei cowboys, dalle tende che chiudevano l’arena spuntò il primo drappello di indiani a cavallo. Portavano sul capo alte raggiere di piume, abiti variopinti decorati di penne, e brandivano lance urlando grida di guerra. Seguirono gli ingressi dei cowboys nelle camicie rosso scuro, un fitto manipolo di messicani con i caratteristici cappelli a punta, poi i lancieri in uniforme della Guerra d’Indipendenza, un plotone di barbuti Cosacchi del Caucaso nelle loro ampie zimarre, i dragoni a cavallo, i cavalieri arabi seguiti da cavalieri giapponesi, i cannoni di bronzo. Tutti si ammassarono l’uno dietro l’altro. Due porta-stendardi a cavallo che sventolavano la bandiera italiana e quella americana anticiparono l’ingresso del colonnello Cody che cavalcava un bellissimo cavallo dai garretti agili e nervosi, dalla bordatura ornata di fregi d’argento. Accolto da applausi sfrenati, salutò il pubblico, si posizionò davanti al plotone dei cavalieri e ad un suo cenno ebbero inizio la sfilata e le evoluzioni. Al termine di queste Buffalo Bill, per mezzo della sua carabina, colpì con grande precisione i bersagli lanciati in aria da un pellerossa a cavallo. Il pubblico fu particolarmente coinvolto dalla ricostruzione dell’assalto dato dagli indiani al Mail-Coach (diligenza), dalla manovra dell’artiglieria eseguita con eccezionale rapidità, dalle fantasie degli arditi cowboys e dei cosacchi, dalle corse degli indiani che montavano i cavalli purosangue a dorso nudo, dal simulacro di uno degli ultimi episodi della guerra contro gli amerindi; “un beduino ha il fegato di girare per dieci minuti su se stesso, due giapponesi si battono ferocemente al duello, e poi sono salti mortali, capriole mirabolanti, esperimenti di forza, ecc. Molto divertente è la presa dei cavalli col laccio; il pubblico plaude all’abilità del signor Oropeza, ‘campione del lancio del monte Zuma’, così lo qualifica il programma. I tiri di precisione del signor Baker (celebre tiratore alla pari di Buffalo Bill, ndr) sono applauditissimi; egli tira in tutte le posizioni e coglie sempre. Gli Zuavi compiono diverse evoluzioni. Una spettacolosa danza di guerra di pellirosse provoca uno scroscio di applausi. Lo spettacolo è veramente bello e si svolge fra grida selvaggie e rullii di tamburi. Graziosissimi due pellirosse che scompaiono sotto le abbondanti penne di cui sono rivestiti. Appena la danza finisce, giungono i messicani e avviene uno scontro a base di fughe vertiginose per il campo, di fucilate e revolverate, di squilli di tromba, di gridi, di urli spaventosi di cavalli e cavalieri. Volgiamo alla fine! Ecco i veterani del 6° reggimento di cavalleria degli Stati Uniti, che eseguiscono esercizi e parate militari. I cosacchi del Caucaso eseguiscono esercizi equestri; abbiamo corse fra giovani indiani montati sopra cavalli senza sella. Poi ci è riprodotta la vita del Far West con un assalto alla capanna di un colonizzatore, eseguito dagli indiani”. Il primo spettacolo si chiuse intorno alle ore 17 con il saluto d’addio di tutta la compagine dei Rough Riders guidata magistralmente da Buffalo Bill, “fra il ripetersi di urla assordanti, di suoni di tutte le specie, di roteamenti di armi, di fughe.
La rappresentazione fu ripetuta la stessa sera alle ore 20, con l’arena illuminata grazie all’energia prodotta da tre grandi macchine elettriche: la luce venne lasciata accesa fino a che tutto il pubblico (in verità molto diminuito nel numero rispetto al pomeriggio) non se ne andò completamente.
IL SERVIZIO GIORNALISTICO DI 'CREMONA1' (10 gennaio 2017) COSTRUITO SULL'ARTICOLO DEL 2011
Sito autoprodotto da Roberto Caccialanza
É vietata la riproduzione di testi e immagini
La ricerca storica,
che divertimento !!!
Torna ai contenuti