2002 - Valerio Ferrari - ©2024 Roberto Caccialanza | Ricerca, fotografia, pubblicazioni, mostre

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MOSTRE
VALERIO FERRARI

Valerio Ferrari
l'ööltim mignàan
L'ultimo ramaio della provincia di Cremona

Mostra fotografica esposta presso il Museo della Civiltà Contadina "Cambonino" dal 14 aprile al 9 giugno 2002



Tutte le immagini in Bianco e Nero sono state sviluppate e stampate in camera oscura.


PRESENTAZIONE
Gianpaolo Gregori, ex responsabile della cascina-museo 'Cambonino', che incontrai e conobbi nel giugno 1999, caldeggiò la realizzazione di una ricerca su Valerio Ferrari, il mignàan di 'Terra Amata'. Mi accompagnò nella bottega del ramaio solo pochi giorni dopo.
Fui subito coinvolto dall'attività dell'artigiano e dall'ambiente in cui operava; la sensazione era quella di vivere nel passato, se non per la mia auto parcheggiata lì a pochi metri. Così, dedicai l'intero mese dell'agosto successivo per ritrarre più fasi della lavorazione del rame. Il clima non troppo caldo (anzi spesso ventilato) divenne complice di tanti scatti a ridosso della fucina.
Valerio accettò la mia presenza come se ci conoscessimo da anni. Mi introdusse, in maniera generosa e altruista (proprie straordinarie caratteristiche), ad ogni aspetto del mestiere. Con pazienza, giorno dopo giorno, seguendo un sapiente filo logico (seppure mai dichiarato), mi guidò alla conoscenza della sua arte. Mi fece vivere e capire un lavoro d'altri tempi che si ostinava, nonostante l'età e gli acciacchi, a portare avanti e a far conoscere, partecipando con entusiasmo esemplare alle tante mostre dei vecchi mestieri che sono proposte di frequente alle sagre di paese. Un lavoro duro, pesante, che tuttavia ha amato fino all'ultimo.
Trascorse ore raccontandosi, sempre in un cremonese schietto e arricchito di vocaboli ormai dimenticati: iniziò l'attività sotto padrone; poi, divenuto esperto ("püsèe bràao de 'l me padròon"), si mise in proprio nella porzione di cascina giusto attaccato casa, "eh, 'ma 'l éera bèl ! "; di quando dovette andarsene a causa del rumore provocato dal martellamento, trovando approdo a 'Terra Amata', fra il Migliaro e Castelverde, luogo suggestivo e quanto mai adeguato all'arte del Vale. Andava orgoglioso del nome punzonato in cima al Torrazzo: nel 1977 aveva infatti pulito la palla dorata, dentro alla quale è stata rinchiusa una padella con la sua firma, e forgiato il cono che la sostiene. Rifatta la croce, modellò anche le chiarine degli angeli che sovrastano il porticato della facciata del Duomo.
"Alùura, Ròbert, 'ma vàala ? ", si premurava vedendomi entrare nella sua bottega, due stanze in un edificio rurale: la più interna usata come magazzino; l'altra, il fulcro dell'attività, completamente annerita dalla fuliggine e stracolma di oggetti curiosi come i martelli di differenti forme, le incudini, le pinze per la fucina, i macàachi… Il macàaco, invenzione di cui andava fiero (forse da macàa, ammaccare), è un curioso martello in legno con una estremità molto allungata e ricurva, che arriva dove gli altri martelli non possono.
"Incóo te laùret àan té. Ciàpa in màan el martél chél giöst", esordì una volta: poi, apparentemente distratto, con un occhio e soprattutto le orecchie discretamente attenti, seguiva i colpi inferti quasi a caso sulla piastrina di rame, "cu 'l martél a bùla", quello 'giusto' per antonomasia; in un paio d'ore divenne (stentai a crederlo!) un posacenere. Valerio impiegò appena venti minuti per modellarne uno più grosso che mi dedicò siglandolo. Conservo questi ricordi con affetto.
Rimasi sbalordito in alcuni momenti del suo lavoro. Le procedure, lente ed accurate, per restituire forma a un grosso paiolo partendo da una lastra di rame assolutamente piatta "fàta còozer in sö 'l fóoch e lauràada cu 'l martél fìna a fàaghe ciapàa la fùurma, che pò ghe se tàca el cüül cu 'i ciòot de ràm, chéi fàt a màan", fino a completarlo con tanto di orlo e manico per poter essere appeso di nuovo in chissà quale camino e sfornare chissà quali delizie. La fucina eruttava scintille e fumo, il quale vorticava su se stesso illuminato da un pallido sole pomeridiano che s'intrufolava dalla finestra rendendolo spettrale. "Àra, fàame en piazéer, impìsa la lüüs", sogghignava divertito: la plafoniera era nera di fuliggine perciò la lampada non poteva illuminare! Nonostante l'odore acre e pungente emanato dal legno in fiamme, con le lacrime agli occhi, Valerio rimaneva tenacemente al lavoro. La fronte, imperlata di sudore che grondava copioso; la maglietta, madida. I momenti della lavorazione gli facevano assumere un ghigno sempre diverso. La magia della stagnatura, durante la quale il viso di Valerio si illuminava, certo della luce riflessa, ma in particolare dalla gioia di aver ridato vita e pregio a un oggetto che qualcuno pensava di dover gettare in una discarica. Maneggiava quella bacchetta di stagno come se fosse magica, "che quàan' té la piéeghet la fà 'n vèers che pàar che la crìida, sèentet ? ". Le mani nude 'giocavano' nel fuoco.
Angela, anziana amica che vive in una abitazione vicino, siciliana di origine, si presentava da ottima ospite, puntuale, alle 17 e 15, con tre squisiti caffè all'anice. La donna sapeva ritirarsi poco dopo, quando Ferrari tornava a martellare. "Fìidech 'sa 'l è bòon… La vèen sèemper a truàame, chéla póora dòna, l'è pràan bràava".
Ogni tanto, una pausa. Ne approfittava per chiedere "to pupà, stàal bèen ? ". Non lo aveva mai visto, eppure questo argomento gli offriva lo spunto per parlare anche della sua famiglia, alla quale era profondamente legato. Voleva essere messo al corrente delle mie vicende personali. Avevamo raggiunto una grande confidenza. Valerio era una persona buona, fra le poche meritevoli di stima e rispetto. Non si poteva che volergli bene.
Le nostre chiacchierate venivano interrotte di frequente dal viavai di amici e clienti che si affidavano alle sue mani esperte per "tiràa a lücit 'na quàal pügnàta, fàa 'l òorlo a 'na quàal padéla, méter el mànech nóof a 'n paróol o rifàaghe el fóont". Più tardi arrivavano Pippo, suo figlio, e Fabio, un ragazzo neodiplomato medico, che prendevano immediatamente posizione alle incudini. Valerio confidava di tramandare loro la passione e le tecniche del ramaio… Nell'ottobre '99, un intervento chirurgico lo costrinse a ridurre l'attività. Di recente era addirittura prigioniero della seggiola a rotelle, ma il suo unico desiderio era quello di tornare presto a 'Terra Amata'.
Valerio se n'è andato il 24 febbraio 2002. Proprio in quei giorni avrei dovuto informarlo che si sarebbe fatta la mostra, la cui organizzazione è stata rinviata varie volte per impegni precedentemente assunti con il Gruppo fotografico. Questo catalogo voleva essere una sorpresa di cui sarebbe andato fiero, per la consapevolezza che lui e la sua arte, pubblicati, divenivano immortali.
Diceva sempre: "uramàai ghe n'è pö de mignàan in gìir. Mé sùunti 'l ööltim ! ".


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La ricerca storica,
che divertimento !!!
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